Venerdì

17 Febbraio 2012

Edizione Nazionale

pag. 35

 

CHI È

Il figlio di emigranti
con laurea a Harvard

NBA La favola del baby play di New York: in poche settimane da sconosciuto a fenomeno milionario. Che scatena l’invidia 

Jeremy Lin, è nata una stella
ma il "cinesino" turba i neri


NEW YORK - Sulle gradinate del Madison Square Garden la sua maschera sorridente si moltiplica; fuori del tempio del basket della Grande Mela spuntano cartelli con inni vergati per la "Linderella Story", paragonando la sua fresca ribalta alla favola di Cenerentola. I media parlano di "Linsanity", la malattia che prende i suoi fan, ma che ha colpito anche il primo tifoso d'America, Barack Obama. Jeremy Lin, un giovane di 1,90 classe 1988, sta facendo miracoli, trascinando i Knicks. Martedì, dopo 27 punti e 11 assist, ha schiantato i Raptors di Toronto (privi del "Mago" Bargnani) con una bomba da tre a un secondo dalla fine. Passate 24 ore, contro Sacramento, il baby-play in 26 minuti ha segnato 10 punti e piazzato 13 assist. Il nuovo fenomeno ha fatto dimenticare le assenze delle due star di New York Amare Stoudemire (appena rientrato) e Carmelo Anthony. Tanto che il pivot Tyson Chandler ha detto: «È arrivato e ha ridato vita al Madison Square Garden».
      Così la febbre è esplosa incontenibile. E pensare che Jeremy meno di un mese fa non esisteva per l’Nba. Nemmeno considerato nel draft 2010 e poi bocciato da un paio di team. Ripescato da coach Mike D'Antoni per sopperire agli infortuni, il "cinesino", dal debutto del 28 gennaio, ha sbalordito tutti. Nato a Palo Alto, in California, da una famiglia di emigranti di Taiwan, alti ambedue 1,65, questo ragazzo laureato ad Harvard (perché manco lui ci scommetteva sul basket e quindi ha pensato bene al pezzo di carta) è il primo americano-taiwanese a giocare in Nba. È un fenomeno anche economico. Meno di due settimane fa per comprare un biglietto per i Knicks bastavano 270 dollari, ora si spende il doppio. È "Linflation". I diritti tv delle partite del team sono aumentati del 70%, la maglietta numero 17 è la più venduta sul sito della Nba. La Nike ha annunciato una campagna tutta su di lui, e attorno alla "Linsanity" si calcola che crescerà un business di merchandising e diritti tv, tra Usa e Asia, di centinaia di milioni di dollari.
      Ma questo incredibile successo sta provocando anche polemiche a sfondo razziale. Il basket è uno sport nero per eccellenza. E, al di là dei complimenti e dei sorrisi dei compagni di squadra, il fatto che un orientale tolga la scena agli afro-americani comincia a dar fastidio. Floyd Mayweather, campione mondiale dei pesi massimi, ha chiarito su Twitter ciò che pensano in molti: «Lin è un buon giocatore, ma tutta questa montatura è perché è asiatico. I giocatori neri fanno lo stesso ogni sera e non scoppiano tutte queste lodi». Frasi ingenerose, che hanno scatenato la polemica. Il Washington Post titola: «Lin e la razza: la bigotteria nello sport non è niente di nuovo». Solo il tempo chiarirà se sia nata una stella oppure se stia passando una meteora. Ma l’ex campione cinese dell’Nba, Yao Ming, si sbilancia: «Se continua così può diventare un All Star».